01.11.2020

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Un giorno “come” Luca Anacoreta Backstage di un video-blog

Ho passato qualche giorno con Luca, ho fatto quasi tutto quello che faceva lui. Il Polaris Pro, mi ha chiesto di raccogliere del materiale, in vista della sua seconda convocazione all'evento degli eventi. Ecco la mia esperienza da vicino con il Capitano.

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Sberla Marco Mencarelli

“Vivo la vita così alla giornata con quello che da’
Sono un’ artista e allora mi basta la mia libertà.
Da una finestra si affaccia una donna che un sorriso mi fa.
E’ una di quelle, ma è bella e stasera mi va.”

Sono sull’uscio della porta di casa Anacoreta. Il primo ad accoglierci è Bruno. Alice mi saluta. E’ ai fornelli mentre cucina una delle cene più buone che di lì a breve avrei mangiato e il Maestro in sottofondo (sto parlando dell’unico e solo, immenso Franco Califano che accompagna il mio ingresso). Sono arrivato da poche ore, abbiamo un sacco di cose da fare. Uno su tutti, Luca, convocato per la seconda volta al Polaris Pro. Sì, avete letto bene, stiamo parlando di quell’evento su invito dove vanno solo i BIG veri… 

Non ci perdiamo in chiacchiere, ci mettiamo a tavola e sbraniamo tutto quello che la “Sora Alice”1  ha preparato. Termina così la mia giornata con il Capitano. Una bella giornata piena di allenamento, una buona cena, Alice, Bruno e il silenzio che suona presto. Alle 22:30 circa siamo già tutti a letto.

Prima di salutarci, mi dice:

“Domani mattina ci sveglierà il caffe!”
Dormire è importante, mi spiega Luca. 

I professionisti fanno così:

  • si svegliano presto;
  • mangiano;
  • si allenano e dormono;

“Perchè tu che fai?”
“Io non riesco a farlo sempre. Buona notte Mà.” 
“Buonanotte Boss.” 

Ore 7:23, sento qualche rumore, guardo l’orologio e vedo Luca muoversi di soppiatto, cercando di non fare rumore. La luce del mio cellulare, gli fa capire che non c’è bisogno di tutta questa premura e che può tornare a muoversi senza tutta quella cautela.

“Bella Mà’”, è il suo buongiorno, “dormito bene?” Io dormo anche se ci sono le cannonate, quindi lo rassicuro e iniziamo a pianificare la giornata, mentre beviamo il caffè.

Da quando sono arrivato, mi dice che deve sbrigare due commissioni che non lo fanno stare tranquillo, la cosa mi fa sorridere perché, secondo il mio punto di vista, sono due cose di vita quotidiana, cioè io sarei molto più in ansia tenendo in considerazione la preparazione che deve affrontare e tutto quello che comporta una convocazione di quel calibro. Sorridendo, gli confesso la mia riflessione, lui sogghigna e ribadisce: “Finchè non risolvo queste due cose, non sto tranquillo. Prendiamo il caffè e partiamo.”. 

Prima sessione di allenamenti, pranziamo e torniamo a casa.

Bruno – Sonno – Allenamento – Casa – Bruno – Cena – Sonno.

Sono in sostanza queste le giornate passate con Luca. Con la variabile di qualche cosa da fare nel mezzo. Tipo criosauna o sedute dal fisioterapista e altro… Durante i tragitti da un luogo ad un altro, si alternano silenzi, i miei, interrotti solo dalle sue riflessioni ad alta voce. Riflessioni, che in qualche modo richiedevano un mio coinvolgimento e che sono servite a rompere una barriera. Lui mi ha detto delle sue cose, io gli ho parlato delle mie. Riemerge, ancora una volta, quel suo lato del carattere che lo rende l’animale da tatami che molti ammirano: “la settimana scorsa non è andata bene”. Mi confessa. 

“Non ero…”,
ed io
“non eri?”
“Mi finalizzavano sempre, tanto che mi sono detto ma n’dò vado?” 
Sto per rispondere che a giudicare da quello che ho visto io… E lui:
“No ma a me queste cose mi servono. E’ giusto prendere gli “schiaffi” in allenamento. Io ho bisogno di queste sensazioni per cambiare passo. Sotto stress vado meglio”.
E aggiunge:
“Vorrei che la gente capisse quanto sacrificio e quanto tocca abbassà la testa. Perchè non sono tutte rose e fiori.”
Mi ha stupito il suo modo di ricercare continuamente il vero, l’equilibrio. Equilibrio fra tutto quello che dovrebbe essere un atleta e il mondo di Luca Anacoreta. Ci dicevamo delle cose, poi lui tornava in silenzio io tornavo a guardare fuori del finestrino le bellezze di quella Roma. Siamo quasi al capolinea della mia permanenza, il Polaris attende il materiale che ci ha commissionato e io devo prendere il treno, tornare a casa e riordinare le idee e fare tesoro. Ci manca solo l’ultima cosa, l’intervista di presentazione, organizziamo il set e nel rispondere alle domande mi colpisce ancora una volta quel suo modo di essere simpatico (quando vuole) e letale di dire quello che pensa:

chi tocca ‘n ze ‘ngrugna2.

Ci scappa una risata, è ora che io parta. In bocca a lupo Capitano!! 

(1) Sora:
Sul piano linguistico, si badi bene a pronunciare molto stretta a “o” di sora (cioè “signora”), per non confonderla con sòra (“suora”, vocabolo peraltro alieno al romanesco, che chiama la religiosa sempre e solo monica)

(2) chi tocca ‘n ze ‘ngrugna:
L’espressione, per esteso, in italiano suonerebbe suppergiù “a chi capita [la sfortuna], non se ne abbia a male”, ed è la versione romana dell’hodie mihi, cras tibi dei Latini. Viene usata a commento di eventi spiacevoli, i più disparati (una perdita al gioco, un accertamento fiscale, la visita della suocera), in senso un po’ ironico, oppure per tacitare le proteste del malcapitato. A volte è usato dalla stessa persona che subisce la malasorte, a riprova del carattere fatalista, e tutto sommato “sportivo”, del romano autentico.


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